Photo Battaglini – ESMA: i voli della memoria
Text and Photos by Andrea Battaglini
Già alla stazione ferroviaria del TrenMitre di Rivadavia, ribattezzata Estación de la Memoria, murales variopinti di anarchica fattura annunciano la prossima e famigerata Escuela di Mecánica de la Armada argentina. Che, forse perché il caso del desaparecido Santiago Maldonado troneggia nelle prime pagine dei quotidiani strumentalizzato a dovere sia dai kirchneristi che dai macristi ( le elezioni di midterm sono alle porte), è particolarmente affollata soprattutto da studenti e professori in visita guidata.
E se non fosse per gli striscioni artigliati alle recenzioni che urlano cromaticamente l’ennesima scomparsa causata dall’intervento muscolare delle forze dell’ordine, dall’esterno l’ESMA con i lussureggianti giardini di 17 ettari curati come il Rosedarium del parco Palermo richiama più uno storico campus univeristario che il «microlager» sostenuto dai criminosi dittatori del Nacht und Nebel Videla, Massera y Cìa.
E’ infatti qui, nel Casino de los Oficiales, che tra il 1976 e il 1983 venne organizzato uno dei centri clandestini di detenzione, il chiamato «Selenio» secondo il codice gansteristico dei marinai, dove operò il «Grupo de Tareas 332» specializzato in sequestri, torture e assassinii confezionati con crudele dovizia a scapito di attivisti, militanti e simpatizzanti della guerriglia peronista Montoneros, di quella dell’Esercito Rivoluzionario del Popolo e dei loro famigliari. Non solo; ma sempre qui, a poca distanza dallo stadio del River Plate, arrivarono coatti anche imprenditori e funzionari della propria dittatura considerati molesti. Alle giovani vittime tormentate furono rubati i neonati partoriti nelle anguste celle e poi venduti alle famiglie dei militari sterili. Ai saccheggiati, los chupados in gergo, furono sequestrati beni e proprietà e infine, ingannati a dovere e narcotizzati con Pentotal, in quasi cinquemila caricati sugli aerei dell’Armada e gettati vivi nel Mar del Plata con i «voli della morte» narrati ne «Il volo» da Horacio Verbitsky. Fu una matanza.
Irritata dai selfie scattati da nuvole di ragazzi sullo sfondo della facciata del padiglione dove nel maggio del 2015 – e cioé durante la presidenza di Cristina Kichner – è stato «allestito» il Museo Sitio de Memoria/Unesco, Celeste Oruzco – una delle addette stampa preposte alle visite guidate – intima: » E’ meglio raccogliersi prima di entrare perché la visita è molto forte, lascia il segno; e comunque non si assite a un tangoshow!». Detto anche a uno che ha visto due volte Auschwitz e Birkenau, Buchenwald e le prigioni del KGB di Vilnius il suggerimento lascia di stucco e indispone. Soprattutto perché la facciata è anticipata da un’installazione trasparente, assai spettacolare, dove campeggiano in carellata i ritratti in bianco e nero di alcuni desaparecidos. Una scelta registica felice, ma davvero estetizzante. Tant’é: tipica presunzione porteña espressa quando si pensa di avere comunque un primato; anche sulle disgrazie.
Il museo snocciolato su tre piani non è interattivo ma è gonfio di fotografie, didascalie gigantesche, slogan e dati al neon, video, testimonianze dei sopravvissuti. Un po’ in stile polacco insomma, come nei più recenti musei storici di Varsavia, Danzica e Gdynia (della Seconda Guerra Mondiale, dell’Emigrazione, della Rivolta, del Museo Ebraico/Polin…). Con alcuni spazi silenti e spogli, come la stanza delle «partorienti» cui poi veniva rubato il nuovo nato, lasciati alla figurazione e all’immaginazione dei visitatori.
Tra argentini e stranieri dal 2015 a oggi Il Museo Sitio de Memoria ha contato 90.000 presenze di cui 16.141 studenti delle primarie e secondarie e oltre 5.000 universitari. Inoltre 6.379 frequentatori dei vari eventi a tema organizzati settimanalmente nelle sale del «museo».
Tanti o pochi in una metropoli di quasi 14 milioni di abitanti e in un paese che conta 44 milioni di anime?
Ancor meno, non lontano, sono stati i visitatori locali e stranieri del Parque de la Memoria, assai più eloquente ed evocativo se non altro perché si stempera dall’Avenida Costanera Norte nell’arcano Mar del Plata color CocaCola e poi perché il vuoto dice sempre più del pieno, come Birkenau e Buchenwald rispetto ad Auschwitz: l’ultimo ferisce e incupisce, i primi due ammutoliscono.
Il «Parque» si concreta in un muro di granito grigio che zigzaga verso il «mare» dove sono incisi i nomi dei desaparecidos (quanti esattamente? y, quien sabe?) e termina nell’acqua dove emerge un umano fuso in acciaio.E’ anticipato da un parterre au bord de mer dove campeggiano sculture e installazioni d’arte contemporanea. Curiose.
Riguardo alle dittature e agli stermini sistematici inocula meglio del museo gli anticorpi alle future generazioni. Quando lo frequentano. Infatti se la condanna definitiva emessa il 29 novembre nei confronti di 54 imputati (29 ergastoli, 6 assolti) ha suscitato – dopo 5 anni di megaprocesso senza testimoni né militari perché tutti deceduti tranne Adolfo Scilingo – giubilo ovunque nel paese ed è stata vissuta come una vera catarsi collettiva, tantissimi argentini hanno proprio voglia di dimenticare. Per proseguire guardando oltre, visto la trentennale altalena di governi schizofrenici e l’incerto andamento economico che tra cadute e risalite pare tracciare un’arrugginita sinusoide.
Certo, nelle scuole si dice della dittatura e delle sue nefaste nefandezze ma, come in Italia e a differenza della Germania ad esempio, una vera analisi della diffusa mentalità remissiva, dei taciti consensi o delle connivenze di alcuni grandi industriali e di tante alte cariche del clero e dei comportamenti a dir poco ambigui che hanno accompagnato la dittatura civico-militare, è ancora assente.
Eppure l’Argentina fu negli anni Ottanta con Raul Alfonsin un esempio planetario per i processi alla cupola della dittatura. Poi vennero gli indulti e le impunità degli anni Novanta. Ma dal 2003 sotto l’impulso del governo di Nestor Kirchner il paese tornò un modello per le condanne di lesa umanità inferte agli infami militari che ancora pochi giorni fa nelle aule del tribunale supremo sventolavano il testo negazionista «Mentirás tus muertos» di José d’Angelo. Anche se, come ricorda una intellettuale e storica dell’arte – Maria José Herrera oggi direttrice del Museo Tigre ed ex del curatrice del Macba – » i Kirchner e soprattutto Cristina in nome dei diritti umani, sventolati un giorno si e l’altro pure, hanno soprattutto arricchito se medesimi e il loro entourage. I diritti umani li hanno usati troppo ambiguamente come bandiera sociale. Perfino la Hebe de Bonafini, storica portavoce delle Madri di Plaza de Mayo, venne trascinata in scandali di corruzione dal kirchnerismo populista. Ecco perché ora anche il ceto più evoluto e progresisista in mancanza di valide alternative vota Macri che non è ideologico».
Non solo. Almeno gli argentini ultracinquantenni ricordano che pochi montoneros furono «equilibrati» come – più tardi – si è poi dimostrato l’ex presidente uruguagio Mujica e che assieme ai militanti del gruppo Erp dal 1969 al 1975 i «terroristi» organizzarono quasi 12.000 attentati, fecero esplodere 4000 bombe e uccisero 1100 civili favorendo così il golpe militare del 24 marzo. E furono atrocità rimaste senza condanna; anzi alcuni degli esecutori ricoprirono poi incarichi istituzionali durante i governi dei Kirchner. Due pesi e due misure? Se anche fosse gli angeli della morte hanno segnato una delle pagine più devastanti e impietose nella storia del ConoSur.